Introduzione al tema 

Bella storia! porta a compimento un itinerario triennale, che è bene tenere sempre presente nell'elaborazione del materiale.
Dopo aver scoperto che tutto quanto esiste è frutto del pensiero buono di Dio (DettoFatto) e che l’uomo partecipa al disegno di Dio con la sua azione (AllOpera), quest’anno scopriremo che l’esito e il compimento del nostro agire sono nelle mani di Dio.
 
  1. Dio crea tutto ciò che esiste
  2. … affidandolo alla libertà e all'azione dell’uomo…
  3. … e ne custodisce il compimento
Non è del tutto corretto affermare che l’uomo si realizza nella sua opera; meglio dire che grazie al suo agire l’uomo contribuisce a realizzare il progetto di Dio, dal quale riceve il suo compimento.

Per avviare la riflessione su questo tema è stato interessante riprendere la parabola dei talenti, di cui esistono due versioni simili (anche se non identiche): in Matteo è la “parabola dei talenti” (Mt 25,13-30) mentre in Luca è la “parabola delle mine (o delle monete)” (Lc 19,11-27). A scanso di equivoci, il talento anticamente era una somma di denaro, pari all'equivalente di dieci anni di lavoro di un operaio. Si tratta di un discorso pronunciato verso la fine della vita del Signore, quando cioè la sua consapevolezza di dover compiere la sua missione con la morte diventa molto chiara. Attenzione: Gesù non è solo convinto che “gli andrà male” e i suoi nemici lo uccideranno, ma che “dovrà” essere così, cioè che proprio nel morire darà compimento alla sua missione.

Lo schema della parabola è il seguente:
  • un uomo (ricco) parte per un viaggio e lascia del denaro ai suoi servi
  • quando torna vuole regolare i conti
  • uno a uno i servi restituiscono il denaro ricevuto
  • a seconda di quanto quel denaro ha fruttato ciascun servo riceve una ricompensa, che fa riferimento alla possibilità di partecipare della realtà del proprio padrone
  • l’ultimo servo, paralizzato dall'immagine che aveva del suo padrone, ha nascosto la somma di denaro senza guadagnarne. Perciò viene sgridato e punito severamente perché non ha messo a frutto il suo talento.
Dobbiamo mettere in luce una dinamica interessante legata al talento. Esso è anzitutto “ricevuto” – Matteo dice «secondo la capacità di ciascuno» –, deve essere sfruttato e poi deve essere restituito. Solo allora avviene il giudizio e, come sottolineato dalla parabola, per chi si è comportato bene il premio che, notiamo, non è estrinseco al padrone stesso.

Nella lingua italiana, il talento (somma di denaro) viene visto come qualcosa che la persona possiede, da mettere in mostra. Da qui l’ottica dei talent show. In prospettiva cristiana, il talento è sempre ricevuto e da riconsegnare. Nei talent la persona vale perché HA un talento, in chiave cristiana la persona vale perché È un talento. 
Per citare l’arcivescovo, ogni credente è in debito nei confronti di Dio dei propri talenti. San Paolo li definisce carismi: «Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. A ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per il bene comune» (1Cor 12,4-7). Ognuno è dono di Dio per il bene di tutti: il destinatario non è colui che li ha ricevuti, ma coloro che beneficiano di essi. 

È provocatorio per la cultura di oggi il fatto che la Bibbia e la storia della Chiesa non smettano di annunciare che il compimento della vita di un uomo o di una donna non sta nel suo successo, non risiede nelle sue abilità, ma nello spendersi completamente per contribuire a realizzare un disegno più grande.

 

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