La parabola della quinta settimana

Dal Vangelo secondo Luca (19,12-27)

[Gesù] disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”».


Commento

  • Gesù amava raccontare “parabole” cioè storie di vita quotidiana, perché convinto che in questo modo le persone che lo ascoltavano potevano comprendere meglio quanto aveva loro da dire. In questo caso la parabola è raccontata da Gesù durante il suo viaggio dalla Galilea a Gerusalemme ed è rivolta a coloro che lo seguivano, i quali «pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro» (v. 11).
  • La vicenda è parallela a quella della “parabola dei talenti”. In questo caso il padrone è caratterizzato come un uomo che deve ricevere l’investitura di re e che partendo affida una moneta d’oro a ciascuno dei suoi dieci servi. In questo caso ciascuno riceve la stessa quantità di denaro. A differenza dell’altra parabola, questa volta scegliamo di seguire la vicenda dei servi “buoni”.
  • Mentre non si dice nulla di ciò che i dieci servi fanno col denaro, l’evangelista racconta che alcuni concittadini del padrone protestano, anche tramite un’ambasciata, contro la decisione di nominare l’uomo come re del paese.
  • Dopo essere stato nominato re, il padrone ritorna e chiede a ciascun servo di restituire il denaro ricevuto. Forse li aveva messi alla prova per vedere come si sarebbero comportati?
  • Il primo servo ha guadagnato dieci monete e le mostra tutte al padrone. Da notare che non tiene per sé le altre nove, ma le mostra tutte. Lo stesso fa il secondo servo.
  • Soddisfatto di come si è comportato il servo, il re assegna a lui dieci delle città del suo regno. Da notare che il “premio” consiste nel partecipare alla “pienezza” del padrone. Non si tratta dunque di un regalo “estrinseco”: il re si priva di alcune delle sue città per premiare il suo servo buono.
  • La parabola delle “monete” (o delle “mine”, come si diceva una volta) è una bella storia non solo perché l’operare attento dei primi due servi è premiato dal padrone diventato re, ma perché il premio consiste proprio nel condividere quanto il re ha ricevuto.

 

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